L’infermiere e il suo paziente: il contributo del modello psicanalitico alla comprensione della relazione d’aiuto
a cura di B. Cannella, P. Cavaglia, F. Tartaglia (Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2001)
Si ha una “relazione di aiuto” quando vi è un incontro fra due persone che si trovano in una situazione asimmetrica: una in condizioni di sofferenza/disabilità/bisogno, l’altra nel ruolo di dover gestire tali status finché il paziente/utente non sia in grado di autonomizzarsi. L’aiuto non consiste soltanto nel proporre soluzioni e/o applicare delle tecniche (terapeutiche, didattiche, ecc.) ma anche (e a volte soprattutto) nel togliere ostacoli (interni e/o esterni al soggetto) rendendo così possibile il dispiegarsi di energie/potenzialità che la persona già possiede ma non è ancora in grado di utilizzare.
Nel training degli operatori delle professioni d’aiuto si verifica così un progressivo spostamento del focus, dall’insegnamento delle necessarie abilità tecnico-procedurali alla valorizzazione e promozione delle qualità umane (genuinità, coerenza, disponibilità, sensibilità, creatività) già insite nel singolo soggetto in formazione. Tra le varie forme di relazione d’aiuto, quella su cui noi focalizziamo l’attenzione in questo numero del nostro Psycho-Journal, è la relazione infermiere-paziente, partendo da un testo pubblicato dopo molti anni di lavoro con infermieri professionali, allievi infermieri e capi sala, da un gruppo di Psicologi dell’Università di Torino: è questa la nostra libera associazione al lavoro che viene presentato e commentato nella nostra rubrica delle segnalazioni bibliografiche. Perché sia l’uno che l’altro nascono da una stessa matrice psicoanalitica. Ma parliamo un po’ di questo libro.
Nel primo capitolo del testo vengono affrontati il problema del ruolo e dell’identità professionale evidenziando le tematiche dell’ambivalenza e della possibile confusione di ruolo che possono avere un riflesso diretto sulla pratica operativa. Nel secondo capitolo viene analizzato il rapporto corpo-mente ed il problema della sofferenza mentale e del dolore in ospedale. Nel terzo capitolo si entra nello specifico della relazione d’aiuto e della differenza che esiste tra “curare” e “prendersi cura” svelando le insidie degli inconsapevoli progetti maniacali, nonché delle fantasie/desideri irrazionali di onnipotenza salvifica che spesso ostacolano invece di migliorare la relazione d’aiuto. E’ questa la parte centrale dell’opera, quella che illustra il clima istituzionale che deve crearsi per promuovere una relazione costruttiva con i pazienti veramente propedeutica all’aiuto, specie, come descritto in chiave psicoanalitica nella parte finale del libro, di fronte a problematiche quali la malattia e la morte. Il quarto e il quinto capitolo affrontano infatti proprio questi temi. Di nuovo, gli Autori utilizzano una chiave di lettura di tipo psicoanalitico sia per sfruttarne l’alto potere euristico che per stimolare negli operatori la scelta di eventi formativi ECM che si muovano in un’ottica esperienziale e psicodinamica. In sostanza, quello che emerge dall’interessante lettura è che nei professionisti della relazione di aiuto diventa fondamentale strutturare la formazione su due livelli. Oltre ad essere preparati a livello teorico e tecnico professionale, attraverso lo studio, gli operatori devono – a livello più propriamente psicologico – sviluppare delle capacità relazionali, al fine di ottenere un risultato ottimale nel rapporto curante-paziente.
Quello che non bisogna mai dimenticare è che prima di diventare operatori sanitari bisogna prendersi cura di sé come “persone” interrogandosi seriamente sulla genuinità della propria vocazione e cercando di non smettere mai di mettersi in gioco attraverso una continua formazione personale e professionale a gestire le implicazioni emotive dell’incontro con l’altro e con la sofferenza.